Il 1789 vide l’inizio di quella rivoluzione francese che spazzò i residui di feudalesimo dall’Europa e creò, come suo alfiere, quel Napoleone Bonaparte che in breve tempo portò il vessillo della libertà in tutta Europa. Nel 1798 anche Roma, la Roma dei papi, divenne una repubblica, ma Vivaro non accettò con simpatia la novità: anzi mostrò una aperta ostilità, che si concretizzò in una vera e propria insorgenza guidata dal fabbro ferraio Mastro Lavinio Ferruzzi. Egli seppe resistere eroicamente all’assedio del castello da parte delle truppe francesi guidate dal generale Jablonowski: per la difesa, Mastro Lavinio si servì financo di un ingegnoso cannone di legno da lui stesso costruito. La rivolta fu repressa dai francesi ed il castello conquistato il 17 floreale a.VII rep.no, il 6 maggio 1799. Dopo pochi giorni, i vivaresi distrussero quel simbolo di un potere che troppe volte li aveva angariati. Nel 1815 Napoleone, definitivamente sconfitto, lasciò l’Europa per l’esilio ed ebbe inizio la Restaurazione. A Roma tornò il papa, nella figura di Pio VIII, ma i fedeli vivaresi non ottennero segni di riconoscenza, anzi conobbero molte traversie di carattere economiche. Il disagio sociale alimentò anche nelle terre vivaresi il fenomeno del brigantaggio, che si concretizzò nelle gesta del celebre Gasparone, brigante abruzzese che si affacciò anche nella nostra zona. Il periodo tra il 1820 e il 1870 vide nascere e sviluppare quel movimento politico ed ideale per l’unificazione dell’Italia chiamato Risorgimento, da cui anche Vivaro fu contagiato. L’elezione al soglio pontificio di Pio IX portò nel nostro centro un nuovo clima: venne formata una guardia civica, e quando a Roma Mazzini e Garibaldi crearono la Repubblica Romana, Vivaro vi partecipò. Guida del movimento vivarese fu il segretario comunale Gio’ Giacomo Cerini, figura di notevole personalità, che fece innalzare l’Albero della Libertà ed accolse con gioia l’eroe dei due mondi quando transitò nei dintorni. La caduta della Repubblica Romana, dopo un’eroica difesa, non spazzò da Vivaro il vento nazionalistico che, in specie, venne tenuto vivo dai focosi fratelli Carraresi i quali, negli anni dopo il 1861, si adoperarono per fare di Vivaro un vivo centro patriottico. I difensori della patria si riunirono nella casa di Giuseppe Mazzetti per tramare attentati e gesti dimostrativi. Per molti di questi si aprirono anche le porte del carcere papalino ma, infine, il 20 settembre 1870, Roma venne conquistata dalle truppe del generale Cadorna. Il plebiscito del 2 ottobre 1870 sancì l’annessione di Roma e del Lazio al regno d’Italia. Anche Vivaro divenne italiano: assunse il nome di Vivaro Romano ed il 28 novembre di quell’anno ebbe la su prima amministrazione italiana, con a capo il sindaco patriota Giuseppe Mazzetti.
Una Sacra Porpora Vivarese
Il Cardinale Angelo Di Pietro
in Gioacchino DI Nicola, in Storia di Vivaro Romano sullo sfondo della Regione ai confini del Lazio con la Sabina e l’Abruzzo, Roma, Tip. Colombo, 1985, pp. 501-505
Angelo, secondogenito del primo matrimonio di Camillo di Pietro con Maria Troiani di Bartolomeo, nacque a Vivaro Romano il 20 maggio 1828. Di carattere mite e incline alla pietà, appena decenne fu mandato sacerdote al seminario di Tivoli, dove compì gli studi e venne ordinato sacerdote nel dicembre 1851. Frequentò La Sapienza di Roma e, dopo tre anni, conseguì la laurea in utroque jure, come dicevasi allora, ossia in diritto civile e canonico. Svolse il suo promo ministero sacerdotale nella diocesi di Tivoli, prima come Segretario particolare del Vescovo, mons. Carlo Gigli, quindi come Ufficiale di Curia e pro Vicario Generale, dando prova di grande prudenza nel trattare casi e questioni di estrema delicatezza. Nel 1865 fu consacrato Vescovo nella chiesa di S. Caterina in Magnanapoli in Roma, e l’anno dopo nominato Vicario Generale del Card. Maio Mattei, vescovo di Velletri e Ostia col titolo di Vescovo di Nissa in Cappadocia. (…) Nel 1877 fu promosso alla sede arcivescovile di Nazianzo, e nominato Delegato Apostolico e Inviato Straordinario nella Repubblica Argentina e negli Stati di Uruguay e Paraguay;(…) Rientrato in Italia alla fine dell’81, nel marzo dell’anno seguente fu inviato Nunzio Apostolico a Monaco di Baviera. (…) Gli impegni della laboriosa Nunziatura misero a dura prova la sua resistenza fisica, tanto da non fargli desiderare altro che l’esonero e il riposo. (…) Si comprende perciò il pubblico apprezzamento ricevuto da Leone XIII al suo rientro a Roma, e la successiva nomina alla nunziatura di Madrid nel 1887. (…) Il 16 gennaio 1893 il Papa lo eleva alla Sacra Porpora. (…) Nel Concistoro del 15 giugno successivo il Papa gli imponeva la berretta cardinalizia assegnandogli il titolo presbiteriale dei SS. Bonifacio e Alessio sull’Aventino, che S. Eminenza sostituiva con quello di S. Lorenzo in Lucina che tenne fino alla morte. (…) Fu prefetto della Congregazione dei Vescovi e Regolari e nel conclave dei 1903 ebbe due voti. Morì il 5 dicembre 1914 presso il Palazzo della Dataria Apostolica (…)
Anche se da molti anni non rivedeva il paese natìo, il suo cuore fu sempre vicino ai paesani, specialmente nei momenti di maggior bisogno. Nel 1902 (…) affrancò il Comune da un intollerabile canone, lasciando nel testamento tutto l’ex feudo Borghese al suo popolo, e per migliorarne le condizioni di vita fondò l’Università Agraria, valido strumento di ripresa agricola. Non trascurò i bisogni spirituali dei suoi concittadini ai quali, con munifica larghezza, fece dono di una Chiesa nuova per la comodità e il decoro delle funzioni. Ne affidò la costruzione e la decorazione ai migliori artisti del tempo, quali l’ing, Costantino Sneider, architetto dei SS. Palazzi, e i pittori Galimberti e Cisterna. E quando il 5 agosto 1910 venne consacrata apparve un vero gioiello di architettura romanica a tre navate (…). (Per ulteriori notizie, si veda G. Di Nicola, Vivaro Romano – Le Chiese, Tivoli, 1970).
Alla notizia della sua morte la popolazione vivarese rimase sbigottita e sgomenta. Le Amministrazioni comunale e dell’Università Agraria fecero a gara per testimoniare, con larga partecipazione di popolo, il comune dolore per la perdita dell’ “amato estinto che nella sua infinita umiltà non ha mai voluto onoranza alcuna mentre era vivo”(Archivio Università Agraria, Registro delle Deliberazioni consiliari, 5 dicembre 1914).