(…) “L’Immagine è antichissima, in forma rettangolare ed è dipinta su legno di noce. Per tradizione popolare si ha che fosse trovata da alcuni pastori, ma se ne ignora il tempo; e nel vocabolo “le Pantane” dove fu trovata si fabbricò dal popolo una chiesa, e poi l’Eremitorio, perché riportata l’Immagine per ben due volte al Paese per tenerla il popolo più vicina a sé, fu miracolosamente (come si ha per tradizione) ritrovata nello stesso posto dove fu trovata; segno manifesto che ivi voleva eleggere sua dimora ed ivi voleva essere venerata. Si ha per tradizione pure che allo scoprire sotterra la detta Immagine, tutta quella contrada sfolgorò di luce, specialmente nel punto dove si trovava; e perciò Ella, non avendo nome, per questo prodigio fu chiamata col bel nome di “Maria Ss.ma Illuminata” (1) (…) Il dipinto non ebbe sempre il medesimo aspetto, anzi ne sono stati individuati almeno tre successivi all’originale: uno quattrocentesco, uno cinquecentesco e uno barocco. La Madonna, in quest’ultima versione, era stata abbellita dai pesanti panneggi secenteschi che, se nulla toglievano al fascino dello sguardo, indubbiamente non rendevano giustizia al suo valore artistico. Ma l’antica tavola di noce, corrosa dall’umidità dei boschi, manteneva la sua malia anche nell’Immagine sbiadita e nei caratteri di pittura secentesca. (…) Nella scritta latina in calce alla calcografia dell’Icona secentesca, però, già un occhio attento avrebbe potuto cogliere il senso di quell’espressione che solo l’acuto e puntuale studio di Don Gioacchino Di Nicola ha poi successivamente messo in evidenza e indicato come il chiaro segnale della giusta collocazione cronologica della tavola: “Non era possibile comprendere l’espressione “multis ad hinc saeculis” con la quale chiaramente contrastava lo stile relativamente recente della pittura (la sua versione barocca). Eppure i vivaresi, per costante tradizione, hanno sempre dato il culto della Madonna Illuminata più assai antico di quanto dal quadro stesso potesse apparire; e quasi a conferma del “prodigiose reperta” ne riportavano le vicende al tempo delle scorrerie dei saraceni o addirittura all’iconoclastia dell’VIII secolo”. D’altra parte l’antichità del culto era suffragata da una Bolla di Urbano IV (2). (…)
Questo elemento misterioso e il sincero desiderio di vedere l’Immagine sacra, offuscata dalle offese del tempo, restituita all’antico splendore animava, ad un certo punto di questa storia, un fedele Vivarese, Getulio Chiapponi. Egli la sognava lucida e splendente come era apparsa la prima volta ai suoi antichi avi, ai pastori che l’avevano rinvenuta in località “li Pantani”. Egli pensava che tanta bellezza avrebbe vieppiù “illuminato” il suo cuore e quello dei suoi concittadini.
Siamo negli anni ’50 e il bel viso della Madonna, come abbiamo detto, era appesantito da drappeggi, dal gusto barocco che aleggiava in tutto il dipinto guastato, per di più, dagli inesorabili agenti atmosferici. Getulio sfruttò allora il suo impiego e attirò sopra la pittura l’attenzione di un accanito ricercatore di opere d’arte, il Soprintendente alle Gallerie, prof. Bertini Calosso. Il professore venne, il suo occhio esperto fu anch’esso affascinato dal mistero che emanava dal dipinto; e questo, tra la commozione popolare che dopo tanti secoli lo vedeva partire, tra timore e speranza, venne trasportato a Roma per il necessario restauro e … chissà! Avvenne quello che forse i più intuivano per quel senso irrazionale che avvolge le opere d’arte, per la malia di quegli occhi. Un collaboratore del soprintendente, il prof. Ventura, ebbe la… ventura di essere il protagonista di una scoperta emozionante: dietro la pittura secentesca ve ne era una più antica, anzi gli strati pittorici erano tre. Le mani del professore febbrilmente si misero all’opera e, pian piano, ecco riemergere la vera Madonna Illuminata, come se in una fiaba la bellissima donna si risvegliasse da un sonno durato secoli. Appena intaccata sul lato destro, l’antica bellezza tornava a rifulgere. Il 22 marzo 1952 la Madonna Illuminata, scortata dall’intera comunità, prese la via del ritorno e tre anni più tardi, il 5 agosto 1955, il vescovo di Tivoli fregiò di una nuova corona d’oro, dono dei vivaresi, la fronte della Madonna e del Bambino Gesù.
Avremmo preferito che la storia dell’Icona si fermasse qui: e invece essa si arricchisce, in tempi moderni, di un nuovo capitolo, pieno di mistero anch’esso. La tavola, ormai ritornata all’aspetto originario, era stata collocata nella chiesa madre di San Biagio, lasciando l’antico santuario di Santa Maria, troppo solitario per assicurare la necessaria protezione. Ora il popolo tutto di Vivaro ne era il custode. Ma una triste mattina del marzo 1984, la sacrestana Bernardina, nell’aprire al culto la dimora della Madonna Illuminata, trovò l’altare spoglio dell’oggetto della secolare venerazione. Un furto sacrilego aveva compiuto quello sfregio che, come la leggenda racconta, si era voluto evitare tanti secoli prima. Il popolo sgomento accorse, tutti si sentirono feriti nel profondo: i moderni “saraceni” avevano privato i vivaresi di una parte profonda di loro stessi (…).
L’Icona di Maria Santissima Illuminata
In “Storia di un’icona medievale a Vivaro Romano”, Aequa n. 1/1999, p. 31
(1) Archivio Parrocchiale San Biagio, G. TESTA, Notizie della Chiesa Parrocchiale, Ms. del 1906, p.44, è riportata da G. DI NICOLA, Vivaro Romano. Le Chiese, Tivoli, Tipografica San Paolo, 1970, p.19.)
(2) Sulla leggenda: Archivio Segreto Vaticano, Instrumenta Miscellanea, N.95, in G. DI NICOLA, Vivaro Romano. Ambiente e costume nella storia della confraternita, Tivoli, 1969.